Ernst Jünger – "Il trattato del ribelle" (1951) –Piccola Biblioteca Adelphi, 2481990, 23ª ediz., §34
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- 8 ago
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«(...) La lingua è parte della proprietà, della natura, dell’eredità, della patria dell’uomo, al quale è toccata in sorte senza che egli ne conosca la pienezza e la ricchezza. La lingua non assomiglia soltanto a un giardino i cui fiori e i cui frutti deliziano l’erede sino alla più tarda età; è anche una delle grandi forme di ogni ricchezza. Come la luce rende visibili il mondo e la sua immagine, così la lingua lo rende comprensibile nell’intimo, è la chiave indispensabile per scoprirne tesori e misteri. La legge e la sovranità, nei regni visibili e persino in quelli invisibili, hanno origine con l’imposizione dei nomi. La parola è materia dello spirito e, in quanto tale, idonea a edificare i ponti più arditi; essa è anche lo strumento supremo del potere. Tutte le conquiste, reali e immaginarie, tutti gli edifici e tutte le vie, tutte le battaglie e tutti i trattati sono preceduti da rivelazioni, ideazioni e formulazioni propiziatorie nella parola e nella lingua: e dalla poesia. Si potrebbe dire che esistono due generi di storia: uno nel mondo delle cose, l’altro in quello della lingua. E quest’ultimo è superiore al primo non soltanto per la visione, ma anche per la forza, per la capacità. Anche la bassezza, perfino quando si getta a capofitto nell’esercizio della violenza, è costretta a rianimarsi di continuo attingendo a quella forza. Ma le sofferenze passano e si trasfigurano nella poesia.
È un vecchio errore ritenere che dallo stato della lingua si possa desumere se nascerà un poeta. La lingua può trovarsi in piena decadenza e il poeta venire fuori come un leone dal deserto. Così, talvolta, una fioritura eccezionale non genera alcun frutto.
La lingua non vive di leggi proprie, perché altrimenti i grammatici sarebbero i signori del mondo. Nel profondo delle origini il Verbo non è più né forma né chiave. Diventa identico all’essere. Diventa potere creatore. Lì è la sua forza, immensa e impossibile da monetizzare. Qui possono darsi soltanto approssimazioni. La lingua tesse la sua opera intorno al silenzio, come l’oasi si stende intorno alla sorgente. E la poesia conferma che l’uomo è potuto penetrare nei giardini fuori del tempo. Di questo, poi, il tempo vivrà.
Perfino in epoche in cui è decaduta a semplice strumento di tecnici e burocrati, perfino quando per simulare una qualche freschezza prende a prestito le forme del gergo, la lingua rimane indefettibile nel suo immoto potere. Il grigio, la polvere, coprono solo la sua superficie. Chi scava più a fondo, in ogni deserto, tocca lo strato da cui sgorga la fonte. E con l’acqua che zampilla riaffiora nuova fecondità. (...)»

[Ernst Jünger – "Il trattato del ribelle" (1951) –
Piccola Biblioteca Adelphi, 248
1990, 23ª ediz., §34]



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